Il ricorso sempre più massiccio all’intelligenza artificiale sul luogo di lavoro non è tutto rose e fiori. Ecco cos’hanno scoperto i ricercatori.
L’intelligenza artificiale è sempre più presente nelle nostre vite, a cominciare dal posto di lavoro. L’interazione sempre più fitta tra uomo e macchina ha fatto emergere una questione cruciale rispetto alla dinamica del lavoro di squadra sul luogo di lavoro. Quali sono le ricadute sul lavoro umano dell’impiego sempre più massiccio dell’IA?
Da questi interrogativi prende le mosse una ricerca portata avanti dagli scienziati della Technical University di Berlino. I ricercatori hanno cercato di esaminare se quando lavorano insieme ai robot gli esseri umani sviluppano o meno una tendenza a ridurre il proprio impegno.
Lo studio berlinese – apparso sulla rivista Frontiers in Robotics and AI – ha visto coinvolti 42 partecipanti che avevano il compito di ispezionare dei circuiti elettronici. Metà dei lavoratori sono stati messi al corrente che stavano operando su circuiti ispezionati da un robot di nome Panda. Questi partecipanti non lavoravano a diretto contatto col robot, ma lo hanno visto e durante il loro intervento potevano sentirlo. Come sono andate le cose?
IA sul luogo di lavoro: le criticità delle nuove tecnologie
Nelle fasi iniziali dell’esperimento pareva che la presenza del robot non avesse condizionato in maniera rilevante il modo in cui i lavoratori erano soliti comportarsi. Sia il gruppo che lavorava con Panda che quello che procedeva senza la presenza del robot hanno dato sensazione di operare con senso di responsabilità, impegno e performance del tutto simili.
Le differenze sono emerse successivamente, quando si è trattato di prendere in esame gli errori commessi dai due gruppi. È allora che i ricercatori si sono accorti che alla fine del loro intervento i lavoratori che operavano insieme al Panda avevano scoperto meno difetti di quelli che non lavoravano col robot.
Un risultato che fa pensare che, malgrado fossero convinti di lavorare con lo stesso grado di attenzione, i lavoratori si erano abituati a fare assegnamento su Panda. Insomma, si erano affidati al robot cominciando a impegnarsi meno a livello mentale. Si tratta di un fenomeno ben noto alla ricerca: lo “scarico sociale”, che appare nel momento in cui le persone iniziano a rilassarsi permettendo a colleghi o partner di eseguire la maggior parte del lavoro.
ChatGPT ci rende più pigri?
Lo “scarico sociale” però potrebbe portare a conseguenze sul piano della sicurezza, specialmente in ambiti lavorativi dove la rilevazione di errori e difetti è di fondamentale importanza. Gli esiti della ricerca del team tedesco suggeriscono che l’interazione uomo-macchina potrebbe far abbassare motivazione e attenzione nei lavoratori, con conseguenze potenzialmente dannose in campi come quelli della produzione o in situazioni dove la sicurezza è un aspetto prioritario.
Qualcosa di simile è stato rilevato anche nel lavoro d’ufficio, dove il massiccio ricorso all’intelligenza artificiale nella gestione di mansioni meno complesse (come ad esempio la traduzione, i riassunti di testi lunghi, la generazione di piccole parti di codice) viene considerata come un’operazione acquisita e scontata, non soggetta a successive correzioni.
In altre parole, lo “scarico sociale” va a modificare la psicologia degli impiegati. Tende a eliminare il peso della componente umana incentivando la pigrizia dei lavoratori, abituati a delegare troppo del loro lavoro all’intelligenza artificiale. ChatGPT ci rende più pigri dunque? Pare di sì.