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Il tour nella fabbrica di fotocamere e ottiche di FujiFilm a Sendai

Uno dei piatti forti del viaggio in Giappone con FujiFilm era sicuramente il tour nella fabbrica di Taiwa, presso Sendai, dove vengono prodotte fotocamere e ottiche della società nipponica. Grazie a uno speciale permesso, si sono aperte per noi le porte dello stabilimento, per una passeggiata esclusiva all’interno dei locali dove il personale si prende cura di tutti i componenti e li assembla in modo sorprendentemente artigianale. Si può infatti benissimo affermare che sia un lavoro in buona parte fatto a mano vista l’ingente percentuale di intervento umano nel montaggio. Scopriamone di più e diamo un’occhiata alle foto che abbiamo scattato con la FujiFilm X-Pro2 (qui la nostra prima recensione).

Abbiamo raggiunto lo stabilimento di Taiwa grazie al celeberrimo bullet-train alias Shinkansen che ha divorato la distanza tra Tokyo a Sendai, pari a circa 360 km, in circa un’ora e mezza. Pur ad alta velocità, il treno proiettile impiega quasi metà del viaggio per uscire dall’abnorme conglomerato urbano della nuova capitale del Sol Levante (quella antica era Kyoto che appunto significa Città Capitale, mentre Tokyo sta per Capitale Orientale, trovandosi più a Est). Oltrepassato il confine tra metropoli e campagne, siamo sfilati attraverso campi e paesini ghiacciati di brina prima di sbarcare a Sendai e mescolarci al suo milione di abitanti. Da lì, bus fino a Taiwa, che è a circa 80 km dalla tristemente nota Fukushima.

All’ingresso della fabbrica era necessario calzare una sorta di sandalo e abbandonare le scarpe: era il primo indizio di uno dei presupposti fondamentali dello stabilimento ossia l’estrema attenzione alla pulizia. Non solo per una questione igienica, ma perché quando si lavora con componenti minuscoli e, soprattutto, con le lenti anche un granello di polvere può risultare più pericoloso di un acido. Motivo per il quale, nel settore ottiche ci siamo vestiti come chirurghi (ma non anticipiamo niente) e abbiamo utilizzato fogli di carta antistatica. Abbiamo citato Fukushima, ebbene nel giorno del tremendo disastro naturale dello tsunami del 2011 la fabbrica ha subito danni minori, con un solo controsoffito crollato a causa del terremoto, ma è stata risparmiata dall’onda devastatrice. Il perché è presto detto: si trova su una collina.

FujiFilm è nata 82 anni fa (1934) grazie a un piano governativo per la produzione di pellicole fotografiche: nei decenni successivi ha inaugurato con successo anche le linee produttive di lastre per raggi X, ottiche, pellicole a inversione di colori e, infine, fotocamere. È nata inoltre la divisione Astalift dedicata alla cosmetica: molte sostanze chimiche utilizzate per le pellicole sono infatti anche molto preziose per la pelle (come l’astaxantina). Terminato il periodo delle fotocamere analogiche e vedendo i mitici rullini FujiFilm prossimi al viale del tramonto, la società nipponica si è subito tuffata nel mercato digitale, investendo per mettersi in prima linea in quello che sarebbe poi diventato il futuro. Un anno dopo la FinePix REAL 3D W3 ossia la prima fotocamera digitale 3D al mondo, Fujifilm ha inaugurato le X-Series con la X100 per arrivare fino a qualche giorno fa con la presentazione delle novità (tutte le info qui).

Tornando al presente e alla visita, abbiamo scoperto che nello stabilimento di Taiwo vengono assemblate fotocamere e ottiche anche con componenti che giungono da altre fabbriche. Il principale vantaggio del produrre in casa buona parte dei pezzi è quello di poterli controllare dall’inizio alla fine della catena di montaggio, fino alla chiusura della scatola d’acquisto. Ed è stato proprio questo il percorso che abbiamo seguito, dopo aver fatto pausa pranzo con i “lunch box” a scelta tra manzo, pesce o vegetariano. Abbiamo avuto la fortuna di passeggiare tra le catene produttive della nuovissima Fujifilm X-Pro2 e della ben nota FujiFilm X-T1 osservando l’attento lavoro dei responsabili. Posizionati lungo due linee, riescono a terminare 400 corpi macchina al giorno con mansioni che ruotano e con compiti che cambiano anche a seconda del prodotto che viene assegnato in un determinato periodo. La concentrazione è massima, si lavora prestando tanta attenzione alla precisione quanto alla velocità in sé. L’abilità manuale di ogni lavoratore è notevole, anche quando si deve avvitare una vite di pochi millimetri. Abbiamo potuto osservare e fotografare le postazioni di assemblaggio, ma era vietato prendere scatti in quelli di rettifica, controlli e calibrazione visto che vengono utilizzati pattern proprietari di un certo valore.

Come anticipato, ciò che ci ha sorpreso di più è stata la quantità di lavoro manuale che sta dietro a fotocamere e ottiche. I macchinari automatizzati si occupano infatti delle operazioni preliminari fornendo i pezzi da assemblare, ma poi tutto il resto è, letteralmente, nelle mani dei lavoratori. Interessantissimo osservare i corpi macchina “nudi” ossia senza coperture in pelle sintetica: ogni singola fettuccia viene poi apposta con pinzette e colla, un pezzo alla volta. La parte più divertente della visita è stata senza dubbio quella relativa alla linea produttiva delle ottiche, in quel momento impegnate con Fujinon XF 100-400mm F4.5-5.6 R LM OIS WR e XF35mmF2 R WR che hanno comportato…un cambio d’abito. Abbiamo infatti dovuto trasformarci in chirurghi con calzature, tuta, mascherina, doppio cappuccio e guanti così da lasciare solo gli occhi scoperti. Il motivo, come vi abbiamo già raccontato, è per evitare contaminazioni con polvere e altri agenti. L’aria all’interno del laboratorio ottiche è pesante e povera d’ossigeno, con una temperatura notevole ed è davvero encomiabile la calma e concentrazione con le quali i responsabili agiscono sui pezzi da assemblare. Anche in questo settore, la parte dedicata al controllo qualità (foto vietate) lascia stupefatti per il livello elevatissimo dei sistemi di check e per l’abilità dei dipendenti.

Dopo aver recuperato i nostri vestiti, un po’ di ossigeno e prima di uscire a rivedere le stelle, abbiamo concluso la giornata con una giga-foto di gruppo all’ingresso. Una visita molto interessante, che racconta quanta attenzione si nasconde dietro pochi centimetri di spessore, un lavoro di extra-fino per offrire sempre la massima qualità possibile.

Diego Barbera

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Diego Barbera

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