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Google Car italiana: guida da sola e parcheggia in 3D [FOTO e VIDEO]

La Google Car è la prima vettura autonoma, “che si guida da sola” o forse è semplicemente la più famosa e pubblicizzata grazie alla posizione predominante del colosso del web? Incontrando Pier Paolo Porta, Phd Vice President and Board Member Artificial Video and Intelligent Systems Labs (VisLab) dell’Università di Parma, verrebbe da propendere per la seconda ipotesi. D’altra parte è da quasi vent’anni che questa piccola realtà italiana lavora su vetture autonome, conseguendo risultati eccellenti e applicando tecnologie che poi vengono commercializzate dai numerosi clienti di tutto il mondo. Sono stati proprio loro, nel 2010, a percorrere i 13.000 km tra Parma e Shanghai con una colonna di mezzi che si guidavano da soli. In un pomeriggio tiepido abbiamo dato una sbirciata a ciò che le automobili dei prossimi anni supporteranno, arrivando a una sorprendente verità in merito alle auto-che-guidano-da-sole.

Prima un po’ di storia, che cos’è il Vislab? Questo laboratorio universitario nasce alla fine degli anni ’90, il ramo storico è quello di automotive e percezione intelligente ossia sistemi che devono capire qualcosa. Per macchina si intende un segmento piuttosto ampio che va da una normale automobile a un trattore fino a una linea di montaggio. “Ci siamo subito dedicati all’automotive, che è molto specifica e particolare perché ci sono variabili come clima, meteo, condizioni e sicurezza dato che deve tutto funzionare al 100%“, spiega Pier Paolo. Sono presenti 20 persone nel team che spazia così in diversi settori dall’automotive all’agricoltura, movimento terra e costruzioni (escavatori, compressori per le strade), alla difesa (veicoli esplorazioni monitoraggi ambientali), dall’industriale (muletti, controlli qualità, sicurezza macchine, macchine utensili), alla sorveglianza (monitoraggio zone) fino al cosiddetto MYXTRY per identificare oggetti che si muovono su superfici piani, con applicazioni ad esempio in ambito marittimo. Sono tutti ambiti che richiedono tecnologie ben specifiche in grado di adattarsi all’ambiente e di fornire un valido aiuto non solo alle vetture (o ai natanti), ma soprattutto di alleggerire e facilitare il “lavoro” della parte umana. Nel caso del MYXTRY, ad esempio, con una sola videocamera si possono identificare velocità, passaggi, ecc.. di mezzi che viaggiano in mare, da un punto di vista a Terra e dunque con un moto in due dimensioni.
 
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La notorietà è però arrivata, come facilmente si può intuire, dalle tecnologie al servizio dell’automobile, che ha più sbocco sugli organi di stampa anche grazie alle recenti tecnologie come la guida automatica e i progetti di Google. Questo settore è un qualcosa già testato da tempo: il primo esperimento del VisLab risale infatti al 1998 con 2000 km in Italia da Torino passando per numerose città come Roma, Firenze, Pavia e Parma con l’auto Argo che si guidava da sola al 96%. I componenti elettronici utilizzati erano incredibili per semplicità e basso costo: una videocamera da videocitofono, un processore Pentium 200 e motorino passo a passo. “Abbiamo sempre utilizzato componenti entrylevel o basso costo, di reperibilità comune che si possono trovare ad es. al discount. Evitiamo anche oggetti non integrabili per non intaccare il design e il look and feel per l’eventuale utente finale“, spiega Pier Paolo. Per quale motivo? Perché era inutile creare soluzioni con componenti eccessivamente costosi o non ancora in commercio, meglio basarsi su ciò che era reperibile facilmente.
 

 
Ma qual è, in soldoni, l’attività del laboratorio e quali tecnologie vengono sviluppate e progettate? È molto più pratica di quanto si potrebbe immaginare visto che ha da tempo ottenuto importanti collaborazioni – con Magneti Marelli, Volvo Truck, Volkswagen, ecc.. – d’altra parte: “Ci proponiamo come solution provider dunque partiamo da uno spunto che ci viene portato da una azienda che ci porta una problematica e noi forniamo un prototipo funzionante con algoritmo altrettanto perfettamente funzionante, chiavi in mano“. Insomma, a differenza di Google Car che è un progetto quasi del tutto chiuso in se stesso, VisLab è meno “alla luce del sole”, ma ben più sostanzioso nei risultati. È stato così possibile realizzare tecnologie molto interessanti come la mappatura tridimensionale con doppia fotocamera che crea in ogni istante un modello perfettamente navigabile (dal sistema) per prendere una sorta di coscienza dell’ambiente in cui è immerso. Esempio pratico di un’applicazione: il parcheggio automatico. I sistemi attuali possono posteggiare solo con manovra a S in un parcheggio parallelo (e si rischia anche di impattare contro ostacoli non visti come panettoni di cemento), mentre col sistema 3D si ricreerà perfettamente il paesaggio e dunque l’auto potrà vedere anche posti in perpendicolare rispetto al senso di marcia oppure in obliquo (a lisca di pesce).
 

 
E la differenza con le Google Car? “Noi siamo stati i primi a utilizzare sensori passivi, che non emettono quindi non sonar, laser, e a basso costo – spiega Pier Paolo – Mountain View ha dalla sua determinati mezzi che nessun’altro ha, come le mappe proprietarie. Hanno deciso che il modo corretto è quello di mappare tutto in modo precisissimo e così sarà possibile piazzare l’auto all’interno di questa mappa speciale, in modo tale che in ogni istante sappia perfettamente dove si trova“. Per tale scopo usa un sensore Velodyne, una zuppiera rotante a 64 piani che vede fino a 200 metri, è un sensore fenomenale da oltre 60.000 euro. Un componente non solo costoso (ma col tempo si abbasserà…) ma anche invasivo e non integrabile, in più esposto a qualsiasi intemperia e possibili danni. Inoltre sembra che la richiesta per chiedere una targa di un’auto autonoma possa comportare una cauzione di 3 milioni di dollari. “Noi pensiamo che la localizzazione sia importante ma non fondamentale, ci concentriamo più che altro sul local sensing“. Ossia sul comprendere in ogni istante qual è la situazione e quali sono le soluzioni ai possibili problemi che si riscontrano in tempo reale.
 

 
Perché l’impresa di Shanghai per una società che, in generale, ha sempre lavorato quasi nell’ombra? “È stato di sicuro un veicolo promozionale, ma l’intento era quello di allungare la prova e la dimostrazione il più lungo possibile. I test dimostrativi durano pochi minuti, in condizioni specifiche, con un viaggio così lungo si è messa alla prova il sistema per tanti giorni consecutivi, stressandolo in qualsiasi condizione climatica, stradale, ecc… Abbiamo registrato tutto, 35TB di dati che ci sono serviti per i successivi sviluppi. Durante il viaggio è stato modificato il software in corso“. Nel caso specifico, le auto hanno viaggiato in colonna con un pattern leader-follower per ovviare alla mancanza di mappe soprattutto in determinati paesi. In testa alla comitiva: “Il nostro ‘tomtom era Gianni Carnevale, ex-generale dell’esercito ora impegnato con Overland“. In buona sostanza le auto seguivano e si basavano sul mezzo precedente e su quello successivo.
 


 
Nel 2010, ossia a termine dell’impresa, si era detto che fra cinque o sei anni le tecnologie per l’auto autonoma sarebbero state pronte a sbarcare sul mercato. Si può confermare la stima? “Confermiamo per quanto riguarda la tecnologia, siamo andati fino a Pechino quindi è pronta, però dev’essere perfezionata ad esempio in condizioni di traffico impegnativo, con ad esempio decine di auto che non rispettano le regole contemporaneamente. Se paradossalmente domani vietassero il transito di veicoli comandati da umani allora la tecnologia sarebbe già perfetta e pronta e dunque si accorcerebbero i tempi, si sarebbe molto vicini alla messa in commercio, perché è la variabile umana è troppo importante, le problematiche relative all’interazione con persone che ad esempio non rispettano la velocità o la segnaletica è quel 6% che dal ’98 a oggi stiamo perfezionando. Ci va il 10 per cento del tempo per completare oltre il 90% del lavoro e il rimanente per i perfezionamenti“.
 

 
Attualmente è più semplice andare a lavorare su percorsi standard come ad esempio il tragitto casa-lavoro oltre che determinate manovre come il parcheggio a casa, che è sempre lo stesso. Ma da qui a sedersi in auto e dire “Portami a Roma davanti al Colosseo”, mancano diversi anni. Gli scenari standard e ideali come l’autostrada sono già potenzialmente pronti, il traffico delle grandi città è cosa ben diversa, perché le variabili sono dunque troppe. In generale, però, le novità riguarderanno più l’assistenza alla guida ma non la completa sostituzione del guidatore. “Verso fine millennio è un po’ calato l’interesse sul veicolo autonomo in sé ed è cresciuta quella sull’assistenza al guidatore“: si prospetta dunque un futuro fatto non tanto di auto che guidano da sole ma che risulteranno sempre più intelligenti e disponibili a aiutare e supportare il guidatore, per evitare incidenti e collisioni, per parcheggiare e in generale per rispettare le regole della strada.

Diego Barbera

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