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Bosone di Higgs: spiegazione semplice della “dannata” particella di Dio [VIDEO]

L’argomento della settimana è l’importante annuncio del CERN di Ginevra a proposito del Bosone di Higgs, la cosiddetta Particella di Dio. Come spesso accade, si tralasciano le spiegazioni e ci si limita a riportare termini complicati e pesanti da digerire e comprendere. Per questo motivo abbiamo parlato con la fisica sperimentale Serena Psoroulas cercando di svelare nel modo più semplice possibile le novità annunciate in Svizzera, che sono state rese possibili grazie alle innovazioni tecnologiche moderne. E così il Bosone non solo diventa come un “grumo di sciroppo”, ma svela la sua vera natura: una particella fondamentale, ma soprattutto “dannata” visto che pur dando senso al tutto si è tenuta sapientemente nascosta fino a oggi.

Oggi parliamo con Serena Psoroulas, può presentarsi ai nostri lettori?
Sono una dottoranda all’Università di Bonn in Germania. Sto finendo la mia tesi di dottorato, e la mia ricerca finora è stata legata alla comprensione della fisica delle particelle all’energia di LHC, e in particolare alla ricerca del bosone di Higgs. Prima del dottorato, ho lavorato sempre ad ATLAS (uno degli esperimenti di LHC) ma più dal punto di vista dei “rivelatori”, cioè dei sistemi che usiamo per misurare le particelle, nel gruppo di fisica dell’Università Statale di Milano.
 
Che cosa è stato annunciato dal CERN?
L’annuncio riguarda la scoperta di una nuova particella, che dai dati raccolti risulta consistente con l’ipotesi circa l’esistenza del bosone di Higgs. La cosa importante di questa scoperta è non solo l’esistenza di una nuova particella (altre particelle sono già state scoperte a LHC), ma il fatto che somigli così tanto al ricercato bosone. In particolare, misurare la sua massa è importante, perché quel valore è un “numero fondamentale” della Natura, che non possiamo prevedere.
 
Che cos’è il Bosone di Higgs?
Il bosone di Higgs è una particella che esiste perché in Natura le particelle hanno una certa massa. Spiegare perché le particelle hanno massa (cioè, perché un elettrone è più piccolo e leggero di un protone, per esempio) è fondamentale: se non avessero quella massa lì, l’elettrone non potrebbe girare attorno ai nuclei in maniera stabile come fa, ad esempio. E questo significa, che la chimica che conosciamo non esisterebbe. E senza quella, neppure la vita, ovviamente. La massa è un problema per le nostre teorie perché, prima dei lavori di Higgs e altri teorici, non era possibile inserirla nel nostro “quadro”. Tenerne conto portava a dover rinunciare ad altri aspetti della teoria – per i più esperti, una simmetria, che rende così potenti e predittive le nostre teorie. Quello che Higgs e altri introdussero fu un modo per spiegare perché certe particelle sono più pesanti di altre senza perdere la simmetria, cioè il potere predittivo della teoria. Ricapitolando: dopo il meccanismo di rottura della simmetria, otteniamo delle particelle che hanno massa, il fatto che l’elettromagnetismo e la forza debole (responsabile per i decadimenti radioattivi) si comportano diversamente, e una nuova particella, il bosone di Higgs, che testimonia l’esistenza di questo meccanismo di rottura. E soprattutto, possiamo predire tutto questo grazie al Modello Standard, che mantiene comunque (ma nascosta) la simmetria originaria, e quindi la sua predittività. Il Modello standard è la teoria che organizza i componenti elementari della natura in gruppi, permettendoci così di studiarne e prevederne il comportamento. I componenti elementari sono i leptoni e i quark (6 per ogni gruppo), i 4 bosoni (cioè i “link” tra le particelle, che esprimono le forze fondamentali della natura), e, da ieri, anche la nuova particella scoperta, se l’ipotesi circa il bosone di Higgs fosse confermata. La rottura avviene ad un certo momento nella storia dell’universo, pochissimi attimi dopo il Big Bang – e se non fosse avvenuta, non sarebbe neanche potuta avvenire in seguito la formazione degli atomi, etc…
 
Se volessimo fare un esempio pratico per comprendere meglio il Bosone di Higgs?
Un esempio che si fa è paragonare il funzionamento del campo (attenzione: del campo, il che significa della forza che dopo la rottura della simmetria causa la massa delle particelle – il bosone in sè arriva dopo) ad uno sciroppo. Prima della rottura della simmetria, lo spazio è come vuoto: le particelle, che possiamo immaginare come delle palline fatte di materiali diversi, girano tutte alla stessa velocità, perché non incontrano alcuna resistenza. La rottura della simmetria causa una condensazione del campo di Higgs, che riempie tutto lo spazio ma che prima era come “vaporizzato”, che quindi assume una forma simile ad uno “sciroppo viscoso”. A questo punto, le particelle iniziano a muoversi in maniera diversa. Quelle che avranno una maggiore interazione con lo sciroppo saranno più lente, faranno “fatica” a muoversi, esattamente come un corpo grosso e pesante fa fatica a muoversi. Quelle la cui interazione con lo sciroppo sarà minuscola, saranno solo leggermente rallentate dal campo, rispetto al movimento originale. Di qui, la formazione delle diverse masse. In particolare, per motivi teorici un po’ complicati da trattare, osserviamo che i bosoni della forza debole (quella responsabile per i decadimenti radioattivi) diventano molto pesanti, mentre il fotone (responsabile della forza elettromagnetica) si comporta come se non fosse successo niente. Come si origina il bosone di Higgs stesso? finora, infatti, ho parlato solo di questo campo onnipresente, ma non del bosone. Il fatto è che, se lo sciroppo è molto molto denso, possiamo aspettarci che in alcune parti presentino addensamenti più forti che in altre parti: se una particella, nel suo movimento, dovesse venire in contatto con una di queste parti molto dense, non riuscirebbe ad oltrepassarla, ma “rimbalzerebbe” contro di essa. Questo “addensamento”, questo “grumo di sciroppo”, è il bosone di Higgs. La differenza tra il Modello Standard e altre teorie, quali la Supersimmetria, per esempio, sta proprio nella quantità di grumi che possono formarsi (il Modello Standard ne prevede solo uno).
 
Perché il Bosone viene definito Particella di Dio?
La storia del nome “Particella di Dio” non è molto famosa. Il termine originale è di Leon Lederman, premio Nobel e direttore del laboratorio Fermilab a Chicago in passato. Mentre lavorava alla sua biografia, definì il bosone di Higgs come “the Goddamn particle“, la “dannata particella”, riferendosi al fatto che il modello fosse così semplice ma non dicesse nulla su come scoprire questa particella, e che quindi fosse “dannatamente introvabile”. L’epiteto dà il nome al libro di Lederman – ma fu cambiato dall’editore in “The God Particle”, per sottolineare quanto profondo, dal punto di vista della conoscenza della natura, sia il significato del bosone stesso. Per lo stesso motivo, il nome è stato poi successivamente utilizzato molto nella comunicazione non scientifica… per quanto sia detestato dagli scienziati. Anche io preferisco di gran lunga il termine originale di Lederman: finora si è nascosta sempre così bene!
 
Perché ci è voluto tutto questo tempo per la scoperta? La grande euforia nella sala della conferenza stampa, con Higgs addirittura in lacrime ci suggerisce che la possibilità di un errore sia quasi da escludere?
Quanto all’ultima domanda, sì, è difficile che ci sia un’errore – anche in fisica l’errore non si può mai escludere. Però la statistica ci permette di stimare “quanto sia probabile, aver preso una cantonata”. I termini cui si sono riferiti gli speaker durante le presentazioni – in particolare, il famoso “5 sigma” che ha causato un prorompente applauso durante entrambe le presentazioni di Incandela e di Gianotti – sono esattamente i risultati di queste analisi. Nel nostro caso, arrivare a “5 sigma” alla fine del calcolo significa che hai una probabilità di sbagliarti di circa lo 0,00002% (per dare un’idea, è più probabile scegliere un numero alla roulette e vincere 4 volte di fila). Quando si ottiene questo risultato, e lo si dimostra alla comunità scientifica, la scoperta viene accettata come “affidabile”. Quanto alle lacrime di Higgs, beh, devo ammettere che vedere i risultati del mio esperimento (che già conoscevo) confermati in maniera indipendente da un altro esperimento ha causato anche in me la stessa reazione! Perché c’è voluto così tanto tempo? Perché finora non avevamo macchine sufficientemente potenti da permetterci di fare quest’analisi statistica, di raggiungere questo livello di affidabilità. La base di un’analisi volta a scoprire una nuova particella (ma un discorso simile vale per tutte le analisi) è identificare tutti gli eventi che “assomigliano” a quello che ti aspetti. Siccome la fisica quantistica è un po’ strana, non possiamo mai dire se un evento che sembra causato dalla particella X sia stata davvero causato da X o da un’altra particella che le assomiglia. quindi, devi raccogliere un grosso numero di eventi, in genere, per poter dire: di questi eventi, mi aspetto che N% siano causati da X, e così via. Inoltre, più le particelle sono pesanti, più è meno probabile produrle, e quindi verranno prodotte meno spesso rispetto a particelle più leggere. “N%” diventa sempre più piccolo, al punto da poter essere quasi invisibile. Questo è il caso di Tevatron: abbiamo in totale un numero simile di eventi, ma, a causa delle diverse energie, per loro è più difficile produrre questa particella a 125 GeV. Per questo motivo noi siamo riusciti a scoprirlo prima di loro; noi abbiamo i “5 sigma”, mentre con la loro analisi loro ne hanno poco meno di 3, non sufficienti a garantire la scoperta.
 
Quali tecnologie e strumenti sono stati utilizzati per gli esperimenti?
Innanzitutto, l’acceleratore più potente mai costruito. E non si pensi che sia uno strumento strano: ogni ospedale dotato di un centro di radioterapia ne ha uno (anche se con caratteristiche diverse, ovviamente). Al momento, si stanno studiando, ad esempio, dei modi per usare le tecnologie superconduttive di LHC anche in campo medico: questo permetterebbe di costruire acceleratori molto potenti e relativamente piccoli. Il che non è importante per l’attuale radioterapia, ma per nuove tecnologie al momento in fase di test, come l’adroterapia, che permette di curare tumori non curabili con la radioterapia. Un altro aspetto degli strumenti usati è la resistenza alla radiazione. Questi strumenti sono stati progettati per poter resistere senza “rompersi” o rendere la misura inutilizzabile, anche dopo anni e anni di esposizione alle radiazioni. Un’applicazione fondamentale: basti ricordare che un’altissima radiazione, per un breve periodo, è equivalente ad una bassa radiazione per un periodo molto lungo. Tecnologie come quelle usate da LHC sono simili a quelle usate nello spazio, ad esempio: fuori dall’atmosfera, i satelliti ricevono molta più radiazione di noi sulla terra, e molto più “dannosa”. Maggiore resistenza alla radiazione significa maggiore resistenza dei satelliti, per fare un esempio. L’ultimo aspetto che mi piacerebbe sottolineare è un aspetto molto importante per le analisi. La presa dati, il salvataggio dei dati, e la loro analisi da parte degli scienziati di tutto il mondo, non sarebbe possibile se non avessimo un’infrastruttura chiamata GRID. Significa lavorare sempre in remoto – il che in sé non sarebbe una novità, in questi tempi di cloud computing; la novità è che non solo lo usiamo da molti anni, ma anche che mette in comunicazione e coordina una quantità di computer che nessun altra rete ha mai affrontato prima d’ora. Una infrastruttura che è necessaria per girare le simulazioni di cui abbiamo bisogno: programmi che simulano ogni minimo aspetto del nostro rivelatore, dall’effetto di un elettrone che passa attraverso un pezzo di silicio, o un tubo di raffreddamento, al rumore elettronico delle nostre schede per l’acquisizione dati. Programmi che non potrebbero poter girare su un computer, per quanto potente, senza dover aspettare per mesi e forse anni il risultato. Quindi, per ottenere le simulazioni di miliardi di eventi, necessari per i nostri studi, dividiamo il task su diverse computing farm, sparse per il mondo, e aspettiamo il risultato. Il lavoro in parallelo ovviamente rende tutto più rapido; e la nostra infrastruttura software si preoccupa di dividere il task iniziale e di rimetterlo insieme alla fine. L’utente singolo deve solo mandare un comando su un terminale, e aspettare fino a che una mail non gli dirà che il suo task è completo. Tutti i fisici che lavorano a LHC lavorano in questo modo – all’inizio è stato complicato, vi erano molte inaffidabilità, ma ora funziona a meraviglia. E penso possa costituire un modello per molte altre scienze – dalle ricerche sui genomi in genetica alle simulazioni ingegneristiche.
 
Quali conseguenze potrebbe avere questa scoperta?
Innanzitutto potrebbe dirci che il nostro attuale modello delle particelle elementari – il Modello Standard – è corretto. In questo caso, però, significa che ancora dobbiamo capire diversi ulteriori aspetti dell’universo. Se invece, continuando le ricerche, dovessero emergere delle differenze rispetto a quanto atteso dal Modello Standard, significherebbe che siamo sul punto di capire qualcosa in più sull’universo. In particolare, le “inconsistenze” tra fisica delle particelle e astrofisica – l’esistenza della materia oscura e la non-esistenza di qualcosa che la spieghi a livello di fisica delle particelle – potrebbero assumere un nuovo significato, o addirittura venire risolte. Ma non è ancora possibile dirlo. In ogni caso, il risultato sicuramente avrà un’impatto sulla fisica del futuro. Se e quale tipo di esperimenti finanziare viene deciso, in Europa, da una commissione sovranazionale, che decide una “strategia” di ricerca. Finora, la ricerca del bosone di Higgs è stata al centro di questa strategia, e per questo è stato costruito LHC. La progettazione di nuovi esperimenti, laboratori, i loro focus, il tipo di investimento (sia in termini di euro sia in termini di risorse scientifiche, industriali etc coinvolte) dipenderà in gran parte dai nuovi risultati di LHC. A Settembre avremo uno di questi “Strategy meeting” – per questo motivo era molto importante avere in tempo i primi risultati sul bosone di Higgs. Sia la scoperta sia la sua definitiva esclusione sarebbero state un input fondamentale per la discussione.
 
Higgs meriterebbe il Nobel?
Sono un fisico sperimentale, e per questo tendo sempre più a pubblicizzare gli sperimentali rispetto ai teorici… Anche se Higgs, e gli altri teorici che hanno lavorato al progetto (Englert, ad esempio, era presente alla presentazione di oggi) hanno certamente il merito di aver preso un’idea sviluppata in ambito di fisica teorica e aver visto in essa qualcosa che altri non avevano visto: la possibilità che il Modello Standard potesse descrivere le masse delle particelle. Quello che però mi piacerebbe molto, è che anche ad LHC fosse riconosciuto il merito della scoperta: alle collaborazioni, ATLAS e CMS, e ai fisici responsabili per il funzionamento dell’acceleratore. è un sistema incredibilmente complesso, e gli scienziati del CERN lo hanno fatto funzionare a meraviglia. L’anno scorso abbiamo concluso la presa dati con più del doppio della quantità di eventi che ci aspettavamo di poter avere. Fino a un mese fa, molte persone all’interno delle collaborazioni erano convinte che non avremmo potuto scoprire nulla prima di ICHEP (International Conference on High Energy Physics) perché non avremmo avuto abbastanza dati. Dopo il primo anno di operazioni, LHC ha sempre fatto meglio di quanto ci saremmo aspettati. Allo stesso modo, lo sviluppo delle analisi all’interno delle collaborazioni, la quantità e la qualità dei risultati pubblicati, sono senza paragone. Alla prima conferenza cui ho partecipato, ricordo di aver visto diverse analisi di Tevatron usare meno di un terzo dei dati che erano stati raccolti dai diversi esperimenti – e non perché fossero pigri: le collaborazioni in passato erano più piccole e lo sviluppo delle analisi più lento. Noi, oggi, abbiamo mostrato risultati usando quasi tutti i dati disponibili – solo quelli più recenti (cioè vecchi 1-2 settimane!) non sono stati utilizzati perché il poco tempo a disposizione non avrebbe permesso di risolvere eventuali problemi, nel caso in cui fossero emersi. Non nego che sia estremamente stressante: passiamo diversi periodi dell’anno, soprattutto i due mesi precedenti delle conferenze importanti (distribuite in estate e in primavera), sotto una forte pressione. Mi sono capitati giorni, settimane di riunioni incessanti, spesso assistendo all’ultimo meeting (sempre in remoto) dal tavolo della mia cucina, mentre cercavo di mangiare qualcosa per cena! Questo è uno dei motivi per cui nelle riunioni quasi tutti hanno il loro portatile aperto: il multitasking è fondamentale, se si vuole sfruttare qualche ora di sonno la notte… Questo modo di lavorare è comunque ormai tipico nella fisica delle particelle, ma non così diffuso in altri campi della fisica. E l’impegno che richiede penso sia all’origine degli ottimi risultati che stiamo mostrando.
 
Dopo il dottorato in Germania rimarrà lì o comunque al di fuori dell’Italia o ritornerà? Com’è la situazione per i fisici sperimentali in Italia, che prospettive ci sono? Si parla spesso del laboratorio del Gran Sasso ma quali sono le altre realtà sul nostro territorio che spesso magari non vengono citate seppur importanti?
Quanto al mio futuro, non so bene ancora cosa farò. Una delle cose meravigliose di questo lavoro è che permette una enorme mobilità: si può lavorare ovunque, basta sapere l’inglese. Quello che certamente vorrei mantenere, sia se decidessi di rimanere nell’ambito accademico, sia se decidessi di spostarmi nell’ambito della ricerca industriale, sarebbe comunque un forte legame con i centri internazionali di ricerca. Al CERN si respira un’aria strana: è estremamente burocratico, ma è anche il posto in cui le cose succedono, davvero. Anche in Italia ci sono laboratori simili, anche se di dimensioni inferiori: il Gran Sasso è uno, l’altro è il laboratorio LNF di Frascati, i LNS a Catania, il Laboratorio INFN di Legnaro sono tutti esempi, in piccolo, di laboratori per “users” come il CERN. LNF sarebbe il laboratorio che dovrebbe ospitare il nuovo progetto SuperB. Ma ce ne sono molti anche nel resto d’Europa: in Svizzera, oltre al CERN, c’è PSI a Zurigo, dove tra le altre cose si studiano le nuove tecnologie per la cura dei tumori – tecnologie che vengono anche studiate ai LNS a Catania. Quando un laboratorio è “vivo”, mantiene un’attrazione speciale perché diventa un crocevia di persone: dal tuo ex-professore dell’università agli amici con cui hai fatto un progetto, ai premi Nobel che mangiano in mensa di fianco a te (beh, ok, questo probabilmente capita solo al CERN!). è il terreno migliore per sviluppare la collaborazione tra le persone. Le prime volte che andavo per lavoro al CERN rimanevo sempre entusiasta di questo aspetto, che ora non noto quasi più, tanto mi è diventato familiare. Ma penso che, se mi allontanassi dalla ricerca intesa in questo modo, come collaborazione “quotidiana”, ne sentirei la mancanza. Oltre a queste realtà più accademiche, ce ne sono anche altre nel campo industriale, ma che spesso – soprattutto in Italia – sono più difficili da trovare. Aziende come ENI fanno molta ricerca, e tuttavia quest’aspetto non è particolarmente “pubblicizzato”. Cercando tra gli annunci di lavoro che si possono trovare su internet, si ha l’impressione che il fisico non sia una figura particolarmente ricercata; il che però, parlando con i laureati in fisica, non è vero. Il problema è che il fisico, soprattutto il fisico sperimentale, è una figura un po’ “fuori dalle righe”: non ha il rigore dell’ingegnere (anzi, è proprio l’opposto), né dell’informatico, e spesso neppure la preparazione tecnica richiesta dalle figure con le quali compete a livello di competenze. Di conseguenza, è difficile che i canali “standard”, come le agenzie di recruiting, cerchino un fisico – è più probabile che ricerchino un ingegnere, magari per un lavoro che un fisico potrebbe fare addirittura meglio. Nella ricerca di un lavoro, questo può essere a volte un “collo di bottiglia”. Il vantaggio del fisico, però, è quello di aver imparato un metodo di analisi che può essere applicato a qualunque cosa – e, rispetto al matematico, mantiene una maggiore apertura al “lavoro sporco” e poco preciso! è capace di fare le giuste approssimazioni che permettono di ottenere un risultato in poco tempo, senza avere tutta l’informazione disponibile. Queste sono tutte qualità estremamente ricercate da aziende, quali le società di consulenza, per le quali spesso è fondamentale avere a disposizione persone che sulla base di informazioni incomplete sappiano vedere comunque un piano di sviluppo, una soluzione. E per il fisico non esiste l’ “impossibile” – o non avremmo mai iniziato a progettare LHC.
 
Quali altri “misteri” della fisica sono ancora da risolvere?
Il primo è la materia oscura!!! l’abbiamo vista, sappiamo che interagisce solo con la forza gravitazionale, ma non abbiamo idea di cosa sia. E purtroppo, la forza gravitazionale non è ancora compresa nel Modello Standard, il che ci impedisce di poter capire di cosa questa materia sia fatta. Qualunque tentativo di spiegarla con fenomeni o particelle note fallisce sempre il confronto con i dati sperimentali. E diversi modelli avanzati di fisica delle particelle, modelli che includono il Modello Standard come un sottoinsieme, cercano di coprire questo “gap”. Uno di questi modelli è la Supersimmetria. Riuscire a capire cosa sia la materia oscura ci permetterebbe di capire meglio l’origine dell’universo: queste particelle esistevano in un passato molto remoto, e molto presto si sono “isolate” e hanno smesso di reagire con le altre particelle, a parte per la forza gravitazionale che però è molto debole a livello microscopico. La loro presenza, tuttavia, è stata fondamentale per la formazione delle galassie: l’universo è incredibilmente VUOTO, e solo la presenza di questi ammassi di materia pesante ha permesso che si formassero dei punti di “attrazione” di atomi, che hanno poi dato vita ai nuclei delle galassie. Il secondo è “perché c’è così tanta materia nell’universo”. Una delle domande più frequenti che mi viene rivolta è “perché esiste l’antimateria?” – per un fisico delle particelle, questa è una cosa normale. Il vero problema, per noi, è perché ce ne sia così POCA. La Natura dovrebbe comportarsi, per quel che ne sappiamo, in maniera quasi simmetrica tra materia e antimateria, che quando si incontrano si eliminano a vicenda, come un numero e il suo opposto negativo danno come somma uno zero. Invece, qualcosa nella storia dell’universo ha distrutto quasi tutta la materia-antimateria che si era formata nel Big Bang facendole “incontrare”; quel poco che è rimasto, ha costituito le galassie e tutto quello che vediamo ora. E quel poco che è rimasto era materia, non antimateria – in qualche modo, l’antimateria è stata distrutta più della materia. Tutt’ora non sappiamo spiegare questo fenomeno. Sappiamo che è successo, vediamo tutt’intorno a noi i suoi effetti, ma non abbiamo idea di come sia successo, e dal punto di vista della nostra teoria non è spiegabile. Entrambi questi aspetti sono parte della ricerca di LHC: il primo è parte delle ricerche di ATLAS e CMS, che entrambi studiano le possibili estensioni del Modello Standard; la seconda domanda è invece la domanda fondamentale sulla quale si basa un terzo esperimento di LHC, chiamato LHCb. Inoltre, l’acceleratore progettato dall’INFN per esser costruito a Frascati, detto SuperB, si concentrerebbe esattamente su questa ricerca, a dimostrazione di quanto questo tipo di fisica sia importante per la comunità internazionale. Poi ci sono tanti altri misteri: l’unificazione delle forze, l’energia oscura, la possibile esistenza di buchi neri microscopici… ma per questo avremo bisogno di più tempo, e più esperimenti.

Diego Barbera

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