Informare per combattere, Google prende questa decisione per supportare la coraggiosa Wikipedia nella lotta contro la legge SOPA ossia lo Stop Online Piracy Act, che nasce come arma per combattere la pirateria online ma che rischia di piazzare uno strumento troppo pericoloso per la libertà e la neutralità della rete. Google era attesa al varco, cosa avrebbe fatto per questa giornata simbolica di protesta – 18 gennaio 2012 – si sarebbe limitata a un silenzio assenso oppure avrebbe clamorosamente oscurato i propri servizi come Wikipedia? Una via di mezzo, un link piazzato in homepage e un’infografica, una soluzione piuttosto paracula.
Wikipedia non ci ha pensato un attimo in più e tramite il proprio fondatore Jimmy Wales ha comunicato che avrebbe oscurato il portale in lingua inglese come protesta per la legge SOPA che rischia di essere approvata dal Congresso americano (nel link tutte le informazioni). Sarebbe una decisione pericolosa per la libertà della rete visto che garantisce azioni rapide di spegnimento di portali colpevoli di aver infranto il rispetto del copyright. Un pretesto condivisibile, con uno sviluppo, però, un po’ troppo poco specifico.
Google così come Twitter, Facebook e tutti gli altri colossi del web che sono stati tirati in ballo non solo da Rupert Murdoch ma in generale da major e etichette come responsabili di favorire la pirateria online e la libertà indiscriminata, non hanno agito nello stesso modo. Sono stati più soft, Google ha piazzato un link quasi invisibile in homepage con un link che dice: “End Piracy, Not Liberty” Cliccandoci, si arriva a un pagina che informa sulla SOPA, con un’infografica e una raccolta firme.
L’infografica invita a far sentire la propria voce, a spiegare il motivo della protesta e a cercare di coinvolgere più persone possibile così che la crescita esponenziale prosegua. E’ stata iniziata da Vint Carf, con una lettera aperta al Congresso, poi è proseguita da cinque esperti di sicurezza su Internet, poi dalle nove società più importanti, comprese Firefox, AOL, eBay, LinkedIn e Zunga poi dai fondatori dei servizi più cliccati e via fino agli oltre 3 milioni di sottoscrittori della raccolta firme.
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