L’anonimato in rete è dannoso e controproducente per la corretta fruizione dei servizi del web, a partire dai social network: è questo il pensiero di Randi Zuckerberg, sorella del celeberrimo Mark, direttrice del marketing del portale sociale dei record, Facebook. L’anonimato online porprio non va giù a Rendi che trova in questo una scusa e una “copertura” per un comportamento poco condivisibile. “Se si obbligasse a usare il proprio nome e cognome, gli utenti si comporterebbero meglio“.
Certo, è vero che nascondendosi dietro pseudonimi e nickname, si è più liberi di dare sfogo alle proprie frustrazioni, rafforzati anche dalla barriera del monitor, che divide-unisce le persone. In questo senso, l’uso dei propri dati “anagrafici” reali, potrebbe portare a una maggiore responsabilità.
Tuttavia, c’è chi pensa che il pensiero di Randi Zuckerberg, nasconda dietro queste premesse condivisibili, l’intento a spazzare via in modo definitivo l’uso di dati non reali e dunque di accrescere esponenzialmente la banca dati del social network con ormai oltre 700 milioni di iscritti.
“Gli utenti che si nascondono dietro uno pseudonimo hanno la sensazione di poter dire, scrivere e compiere ciò che vogliono, come se fossero chiusi in una stanza, da soli“. Molti utenti, forse continuerebbero nei loro mal-comportamenti lo stesso, anche con il loro nome-cognome esposto, ma in generale la situazione potrebbe migliorare. Dall’altro lato c’è però sempre il problema della privacy e dell’eccessiva richiesta di informazioni personali. Una bilancia difficile da equilibrare.
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