Le statue greche erano in origine colorate con sfumature vive e accese che poi sono andate perdute nel corso degli anni. Buona parte ora ci appaiono come candide o addirittura scure; grazei alla tecnologia però è possibile riportarle alla vita
Tornare indietro di millenni è possibile ed è semplice e veloce come accendere una lampada. Agli ultravioletti per la precisione, la tecnica è chiamata raking light ed è stata già da tempo adottata per l’analisi di reperti artistici del passato. Soprattutto sulle tele, ma sulle statue l’effetto è decisamente migliore.
I raggi UV sono normalmente usati anche per le analisi scientifiche – vedi le foto della Sindone di G.B. Judica Cordiglia – studiando la fluorescenza dei composti organici di varia natura. Sulle statue vengono “colpiti” gli scarsi frammenti di pigmento ancora presente, che iniziano a brillare in dettagli ben definiti e percepibili.
Non è una scoperta attuale, ricordiamo per esempio ai Musei Vaticani la mostra intitolata I colori del bianco. Mille anni di colore nella pittura antica, che si è tenuta un lustro fa, dal 17 novembre al 31 gennaio 2005. La novità sta nella scoperta più precisa dei colori utilizzati grazie al mix tra ultravioletti, infrarossi e raggi X
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